nel cuore del Parco Naturale dei Colli Euganei

Arquà Petrarca

KILIMANGIARO 2017, RAI 3

Il secondo borgo, tra i venti più belli d’italia

Il tempo sembra essersi fermato ad Arquà Petrarca, il villaggio dei Colli Euganei che, più di tutti gli altri, mantiene inalterato il fascino antico dei borghi medievali. Il suo nome deriva forse da Arquata montium, che significa “chiostra dei monti”, ma deve la sua notorietà alla fama eterna di Francesco Petrarca, il poeta che vi passò gli ultimi anni della sua vita.

pillole dal passato

La storia del borgo

In un documento del 985 si attesta, ad Arquà, la presenza di un castello abitato da Rodolfo Normanno. È proprio sull’altura dove si collocava l’antico castello (denominata Monte Castello in ricordo delle fortificazioni oggi scomparse), che si può identificare l’originale nucleo medievale da cui si è sviluppato il Borgo più tardi abitato dal Petrarca. La località nel ‘200 divenne feudo dei Marchesi d’Este, per poi entrare nell’orbita politica di Padova. Elevata, infine, dalla signoria Carrarese al rango di vicaria, fu allora che Arquà ebbe la ventura di ospitare il Petrarca e di accoglierne le spoglie mortali.

Sotto la dominazione della Serenissima, fin dal 1405 subentrata al dominio carrarese, Arquà mantenne intatta l’ampia giurisdizione vicariale che comprendeva molti centri dell’area euganea come Galzignano, Montegrotto, Abano sino a Valbona. In quel periodo la fama e la moda petrarchesche spinsero diverse famiglie aristocratiche padovane e veneziane (i Contarini, i Pisani, i Capodivacca, gli Zabarella ecc.) a edificare dimore di nobile fattura. Il paese così completò l’assetto urbanistico che tutt’ora conserva, e dopo il secolo XVI non si costruì più molto. Alla caduta della Repubblica Veneta Arquà perse importanza; solo nel  1866, dopo l’annessione del Veneto all’Italia, fu elevato alla dignità di Comune e nel 1868 poté aggiungere al nome di Arquà quello di Petrarca.

Il poeta e i colli Euganei

Arquà ed il Petrarca

È probabile che Francesco Petrarca abbia conosciuto Arquà, per la prima volta, nel 1364 mentre si trovava ad Abano per curarsi alle terme. Nel 1369 Francesco il Vecchio donò un appezzamento di terreno ad Arquà al Poeta che dal 1365 era divenuto canonico presso la collegiata della vicina Monselice. Già nella primavera del 1369 il Poeta in persona si recò ad Arquà a sovrintendere i lavori di restauro della casetta che inizierà ad abitare dal marzo del 1370. Così viene descritta Arquà al tempo del Petrarca, in un documento che si trova nel Museo Civico di Padova: “vasti boschi di castagni, noci faggi, frassini, roveri coprivano i pendii di Arquà, ma erano soprattutto la vite, l’olivo e il mandorlo che contribuivano a creare il suggestivo e tipico paesaggio arquatense”.

Una vegetazione e una pace che forse hanno richiamato alla mente del poeta un’altra terra a lui cara, la Toscana, e così si decise a stabilirsi in una casa decorosa che si distingueva certamente dalle altre assai povere dei contadini e degli artigiani.
Tuttavia, il nome di Arquà non è legato solo al Poeta, si ricordano infatti i numerosi notai e religiosi che da qui provennero anche se se senza dubbio il più famoso fu Jacopo d’Arquà della famiglia Paradisi. Medico al servizio presso la corte del re Lodovico d’Ungheria fu collega di Giovanni Dondi dall’Orologio amico del Petrarca.

La casa del Petrarca

La struttura originaria era del duecento e fu lo stesso Petrarca, a partire dal 1369 quando gli fu donata dal Signore di Padova Francesco il Vecchio da Carrara, a presiedere i lavori di restauro. La casa, composta di due corpi con un dislivello l’uno dall’altro di tre metri e mezzo, fu modificata dal Poeta che aprì sulla facciata alcune finestre e ne fece un unico alloggio con due unità abitative, riservando come abitazione per sé e per la propria famiglia il piano sopraelevato dell’edificio (versante di sinistra), mentre riservò alla servitù ed ai servizi l’edificio di destra, sito in alto, dove si trovava anche l’ingresso principale. Nel cinquecento ne divenne proprietario il nobile padovano Pietro Paolo Valdezocco. In questo periodo vengono costruite la loggetta di stile rinascimentale e la scala esterna, ma soprattutto vengono fate dipingere le pareti con tempere rappresentati scene ispirate al Canzoniere, ai Trionfi e all’Africa. L’ultimo proprietario, il cardinale Pietro Silvestri, la donò al Comune di Padova nel 1875. Attualmente sono ancora conservati, lo studiolo in cui morì il poeta, con sedia e libreria (pare) originali. Da ricordare, inoltre, la nicchia in cui è custodita la mummia della gatta che si dice fosse appartenuta al Poeta.

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